Le azioni positive hanno la finalità di eliminare le disparità di fatto di cui le donne sono oggetto nella vita lavorativa e favorire il loro inserimento nel mercato del lavoro: questa è la definizione che il diritto della Comunità Europea e la Corte di Giustizia CE hanno nel tempo sostanzialmente mantenuto valida per introdurre nei corpi normativi dei singoli paesi tale strumento di attuazione delle politiche di pari opportunità. 

All’art. 42 del Decreto legislativo n. 198 del 2006 - Codice delle pari opportunità tra uomo e donna - si legge:


"Le azioni positive, consistenti in misure volte alla rimozione degli ostacoli che di fatto impediscono la realizzazione di pari opportunità, nell’ambito della competenza statale, sono dirette a favorire l’occupazione femminile e realizzare l’uguaglianza sostanziale tra uomini e donne nel lavoro. Le azioni positive di cui al comma 1 hanno in particolare lo scopo di: a) eliminare le disparità nella formazione scolastica e professionale, nell’accesso al lavoro, nella progressione di carriera, nella vita lavorativa e nei periodi di mobilità; b) favorire la diversificazione delle scelte professionali delle donne in particolare attraverso l’orientamento scolastico e professionale e gli strumenti della formazione; c) favorire l’accesso al lavoro autonomo e alla formazione imprenditoriale e la qualificazione professionale delle lavoratrici autonome e delle imprenditrici; d) superare condizioni, organizzazione e distribuzione del lavoro che provocano effetti diversi, a seconda del sesso, nei confronti dei dipendenti con pregiudizio nella formazione, nell’avanzamento professionale e di carriera ovvero nel trattamento economico e retributivo; e) promuovere l’inserimento delle donne nelle attività, nei settori professionali e nei livelli nei quali esse sono sottorappresentate e in particolare nei settori tecnologicamente avanzati ed ai livelli di responsabilità; f) favorire, anche mediante una diversa organizzazione del lavoro, delle condizioni e del tempo di lavoro, l’equilibrio tra responsabilità familiari e professionali e una migliore ripartizione di tali responsabilità tra i due sessi; f-bis) valorizzare il contenuto professionale delle mansioni a più forte presenza femminile (lettera aggiunta dall’art. 1, comma 1, lettera ee del D.Lgs. 25 gennaio 2010 n. 5".

Strumento, dunque, duttile e temporaneo (destinato, infatti, ad esaurirsi nel momento stesso in cui il suo obiettivo dovesse essere pienamente realizzato), che deve servire a rimuovere quegli specifici ostacoli materiali che si frappongono alla reale e sostanziale parità tra lavoratori e lavoratrici: considerato che le donne si sono affacciate al mondo del lavoro, seppure sempre in posizione subalterna, da un tempo relativamente breve e ciò non può non comportare tuttora un obiettivo svantaggio a loro carico.

L’origine delle azioni positive si rintraccia nella legislazione degli Stati Uniti (Equal Pay Act, legge di parità salariale, del 1963; Civil Rights Act, legge per i diritti civili, del 1964), che le ha introdotte e sperimentate inizialmente in relazione al contrasto delle discriminazioni fondante sulla razza, allargandone poi il campo d’azione a quelle legate alla confessione religiosa, all’origine nazionale e soprattutto al sesso per tutto ciò che attiene ai rapporti di lavoro. Le affirmative actions (questa è la denominazione delle azioni positive nel lessico d’oltreoceano) hanno rappresentato un caposaldo delle politiche di pari opportunità, uno strumento essenziale di realizzazione di eguaglianza sostanziale.

La Costituzione italiana sancisce il principio di uguaglianza tra i cittadini e persegue la finalità di una realizzazione reale e non solamente formale di uguaglianza: il perseguimento dell’uguaglianza sostanziale legittima l’adozione di misure e di strumenti che riequilibrino le situazioni di svantaggio; soltanto così le donne (e tutti gli altri soggetti che appartengono alle fasce deboli del mercato del lavoro) possono recuperare una condizione almeno di parità di chances. Oltre che nel diritto comunitario, dunque, nell’art. 3, comma 2, della nostra carta costituzionale va ravvisato il fondamento di legittimazione delle politiche di azione positiva, del cosiddetto “diritto diseguale”, così chiamato perché si traduce in misure a vantaggio esclusivo degli appartenenti ai gruppi sfavoriti.

Le azioni positive, quale strumento del diritto diseguale atto a realizzare l’eguaglianza sostanziale, ottengono un definitivo riconoscimento dal nuovo testo dell’art.1 del Codice delle Pari Opportunità  D.Lgs. n. 198 del 2006 , così come riscritto dall’art. 1 del D.Lgs. 25 gennaio 2010 n. 5 , che espressamente chiarisce: "Il principio della parità non osta al mantenimento o all’adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato" (comma 3). 

Fonte: http://www.wikilabour.it/Azioni%20positive.ashx

La normativa europea definisce il principio di pari opportunità come l’assenza di ostacoli alla partecipazione economica, politica e sociale di un qualsiasi individuo per ragioni connesse al genere, religione e convinzioni personali, razza e origine etnica, disabilità, età, orientamento sessuale.


Alla IV conferenza mondiale sulle donne tenutasi a Pechino nel settembre 1995, furono proclamati due principi guida quali l’empowerment, per perseguire le condizioni per una presenza egualitaria di genere, nelle sedi in cui si assumono decisioni rilevanti per la vita della collettività, promuovendo una equivalente presenza di entrambi i generi, negli organismi di nomina governativa e negli incarichi di responsabilità della Pubblica Amministrazione.

Il secondo obiettivo è il mainstreaming, cioè l’integrazione dal punto di vista di genere nelle politiche governative da realizzare attraverso il coordinamento strutturale e permanente dell’azione dei ministeri, e verificando l’attuazione delle normative in materia di parità.

Il terzo, la diffusione dei dati e delle informazioni disaggregate per sesso.

Il quarto, il recepimento, nel processo di riforma dell’istruzione, dei saperi innovativi delle donne.

Tali principi sono stati recepiti dalla Direttiva P.C.M. 27 marzo 1997 "Azioni volte a promuovere l'attribuzione di poteri e responsabilità alle donne, a riconoscere e garantire libertà di scelte e qualità sociale a donne e uomini" (direttiva Prodi)

Un ottimo glossario è sul sito della Conferenza nazionale degli organismi di parità delle università italiane

http://www.cpouniversita.it/?page_id=20

Integrazione sistematica delle situazioni, delle priorità e dei bisogni rispettivi delle donne e degli uomini in tutte le politiche, misure, interventi, allo scopo di mobilitare e sensibilizzare tutte le politiche di ordine generale affinché si raggiunga la parità tenendo conto degli effetti all'atto della loro pianificazione e attuazione.