26 Giu Prime sperimentazioni in vivo per una nuova sonda intra operatoria
Sono iniziate le sperimentazioni in vivo di una sonda intraoperatoria per la chirurgia di precisione oncologica, sviluppata da Sapienza, INFN e Centro Fermi
Uno degli obiettivi principali della chirurgia oncologica è la competa rimozione del tumore, preservando i tessuti sani. Potrebbe sembrare ovvio, ma all’atto pratico non è così semplice: se infatti ormai esistono tecniche di imaging medica molto precisa che possono identificare chiaramente il tumore in fase pre-operatoria, durante l’intervento non è semplice per il chirurgo riconoscere in modo preciso quali sono i bordi del tumore da asportare, ed esiste il rischio di non rimuovere tutte le celle tumorali.
Da qui l’esigenza di una “chirurgia di precisione,” mirata alla rimozione completa anche dei residui tumorali. L’approccio è quello di marcare il tumore con un radiofarmaco che si fissa alle cellule malate, per poi identificarlo con una sonda portatile che può essere utilizzata dall’equipe chirurgica durante l’intervento.
L’idea iniziale, sviluppata da Università La Sapienza, INFN e Centro Fermi Museo della Scienza e brevettata nel 2013, era rilevare direttamente la radiazione beta- (cioè gli elettroni) emessa dal radiofarmaco. Proprio la caratteristica della radiazione beta- di perdere velocemente energia all’interno dei tessuti e quindi di essere poco penetrante, rende possibile un’ala risoluzione spaziale della sonda e di conseguenza un’identificazione precisa dei residui tumorali. In più, la rilevazione diretta della radiazione beta anziché dei fotoni emessi dall’interazione con i tessuti rende il segnale meno sensibile al rumore di fondo, e quindi più specifico.
Nonostante la bontà teorica dell’approccio, la sua applicazione pratica è stata limitata fortemente dalla scarsa disponibilità di radiofarmaci emettitori beta-. Per questo, dopo studi condotti in collaborazione con l’Istituto Neurologico “Carlo Besta”, l’Istituto Europeo di Oncologia, il Leiden University Medical Center e il Policlinico Universitario Fondazione Agostino Gemelli, la scelta è quindi ricaduta sulla radiazione beta+, caratterizzata dall’emissione di un positrone, l’antiparticella dell’elettrone, e da due fotoni, usata quotidianamente nei reparti di medicina nucleare per gli esami diagnostici PET (Tomografia a Emissione di Positroni).
Dimostrare la fattibilità tecnica di un’idea è pero solo il primo passo alla sua reale utilizzazione pratica, per la quale sono necessarie sinergie e risorse che vanno al di là del semplice impegno dei ricercatori; il brevetto depositato in contitolarità da Sapienza, INFN e Centro Fermi è quindi stato concesso in licenza a un’azienda, NUCLEOMED S.r.l., che ha provveduto a realizzare i primi prototipi del dispositivo che ora sono utilizzati per le prime sperimentazioni sui pazienti presso l’Istituto Europeo di Oncologia di Milano, dove sono studiate nel dettaglio le potenzialità della tecnica sia sui tumori Neuro-Endocrini del tratto gastro-intestinale (GEP-NET) che sui carcinomi prostatici, e l’Ospedale ‘Molinette della Città della Salute di Torino’, nel caso di tumori prostatici.