Esperimento Pacini
Nei primi anni del ’900 gli scienziati scoprirono l’esistenza di radioattività naturale sulla Terra, e si chiesero da dove questa radioattività avesse origine; tra le varie ipotesi la più accreditata era che fosse dovuta a radiazioni provenienti dalla crosta terrestre. La soluzione dell’enigma richiese
una decina di anni, e fu una delle imprese intellettuali più emozionanti della storia della scienza. Essa portò alla scoperta che buona parte della radiazione trae origine da sorgenti extraterrestri – e alla radiazione extraterrestre fu in seguito dato il nome di “raggi cosmici”.
Sappiamo oggi che i raggi cosmici sono particelle (in maggioranza protoni) che urtano l’atmosfera terrestre apparentemente da ogni direzione, a velocità prossime a quelle della luce. Le loro energie sono tra le più alte osservate in natura (anche cento milioni di volte l’energia delle particelle dell’acceleratore LHC al CERN di Ginevra): devono quindi provenire da potentissimi acceleratori cosmici, probabilmente in resti di supernova e nei dintorni di buchi neri supermassicci. Il meccanismo di accelerazione fu spiegato da Enrico Fermi nel 1949 (raggi cosmici di minore energia provengono, invece, dal Sole.) Arrivare a questa conclusione fu difficile: la contemporanea esistenza di radiazione cosmica e di radiazione terrestre rendeva delicati gli esperimenti. [[Approfondimenti]
Durante una serie di esperimenti condotti tra il 1907 e il 1911, il fisico italiano Domenico Pacini condusse importanti studi sulla radiazione naturale. Nel suo esperimento conclusivo, condotto nel giugno 1911 presso l’Accademia Navale di Livorno e confermato nel lago di Bracciano un paio di mesi più tardi, Pacini, grazie a una tecnica sperimentale innovativa, osservò che le radiazioni penetranti naturali diminuivano nel passaggio dalla superficie dell’acqua a pochi metri sott’acqua (sia in mare sia nel lago), dimostrando così per primo che una parte rilevante di tali radiazioni non poteva venire dalla Terra.
Il numero di raggi cosmici che arrivano sulla Terra dipende molto dalla loro energia E, e cala velocemente con essa. La distribuzione in energia (il cosiddetto spettro) dei raggi cosmici (Fig.1) è abbastanza ben descritta localmente da una legge di potenza (ossia da una funzione del tipo E−p), con p (il cosiddetto indice spettrale) numero positivo. Dopo la regione di basse energie, dominata da raggi cosmici provenienti dal Sole (parte del cosiddetto vento solare), tale spettro diventa più ripido con p ∼ 2.7 per valori dell’energia inferiori a ∼ 1000 TeV. Per valori superiori dell’energia si ha un ulteriore aumento di pendenza, con p ∼ 3; il punto in cui tale cambio di pendenza ha luogo viene denominato “ginocchio”. Per energie ancora più alte (oltre un milione di TeV) lo spettro dei raggi cosmici torna ad essere meno ripido, dando luogo a un ulteriore cambio di pendenza che viene chiamato “caviglia”.
Fig.1: Spettro in energia dei raggi cosmici.
La maggioranza delle particelle di alta energia in arrivo di raggi cosmici sono protoni, circa il 10% sono nuclei di elio (particelle alfa), e l’1% sono neutroni o nuclei di elementi più pesanti. Questi insieme costituiscono il 99% dei raggi cosmici, e gli elettroni e i fotoni costituiscono il grosso del restante 1%.
I raggi cosmici che incidono sull’atmosfera (detti raggi cosmici primari) producono in generale particelle secondarie che possono arrivare alla superficie della Terra, attraverso il meccanismo dei cosiddetti “sciami” moltiplicativi, che comporta il susseguirsi di una complessa storia di interazioni a catena, produzioni, assorbimenti e decadimenti spontanei. Senza l’effetto schermante dell’atmosfera terrestre, raggi cosmici che rappresentano un grave pericolo per la salute ci colpirebbero direttamente (persone che vivono in alta montagna o che fanno frequenti viaggi in aereo sono soggette a una dose supplementare misurabile di radiazioni).
Pacini e le misure di attenuazione in acqua
L’opinione che la radioattività naturale provenisse esclusivamente dalla disintegrazione di materiali radioattivi nella crosta terrestre fu messa in dubbio dal fisico italiano Domenico Pacini. A conclusione di una serie di misure del tasso di ionizzazione in montagna, sulla superficie di un lago, e sul mare Tirreno, nel 1911 Pacini realizzò un innovativo esperimento immergendo un elettroscopio a una distanza di circa 300 metri dalla costa di Livorno di fronte all’Accademia Navale e poi nel lago di Bracciano, misurando una significativa diminuzione della radioattività in profondità rispetto alla superficie, e dimostrando quindi che parte della radiazione veniva dall’alto.
Riprodurre l’esperimento di Pacini con un elettroscopio è molto difficile; le condizioni di misura sottomarina pongono grandi problemi sperimentali, fortunatamente oggi disponiamo di strumenti migliori. In un periodo successivo agli esperimenti di Pacini fu introdotta, per la misura del passaggio di particelle cariche, la tecnica basata sul tubo contatore di Geiger. Esso è costituito da un tubo contenente un gas a bassa pressione; lungo l’asse del tubo è teso un filo metallico, isolato dal tubo stesso. Tra il filo e il tubo si stabilisce un’alta differenza di potenziale, dell’ordine di 1000 volt. Quando una particella carica attraversa il tubo e colpisce una delle molecole del gas, la ionizza, creando, tramite il processo della moltiplicazione a valanga, coppie di cariche positive e negative. L’impulso elettrico risultante è testimone dell’avvenuto contatto con una radiazione ionizzante – il contatore Geiger ha quindi grande sensibilità alle particelle cariche.
La misura in lago
Nella misura originale in invaso, abbiamo usato un contatore Geiger. Lo strumento è equipaggiato con un tubo contatore di alta precisione che consente di rilevare raggi alfa, beta e gamma. I dati vengono memorizzati in una memoria interna, e possono essere letti con interfaccia USB.
Fig.2: Gli studenti mentre effettuano le misure nel lago di Calcione.
Per immergere lo strumento in acqua, esso è stato inserito in una scatola di plastica impermeabile opportunamente zavorrata con una massa di 2 kg legata tramite un filo di 0.5 m di lunghezza, dopo che su di essa avevamo effettuato opportuni test atti a verificare l’effettiva impermeabilizzazione fino a 13 metri di profondità.
Le misure sono state effettuate immergendo da una piattaforma galleggiante (usata per prelevare l’acqua da immettere nell’acquedotto locale) fissa al centro del lago su un fondale di 13 metri il contatore inserito nella scatola impermeabile descritta sopra, impostato per salvare in memoria i dati una volta al minuto. Tale apparato sperimentale è stato tenuto immerso a 1 metro di profondità per 17 minuti, a 3 metri per 18 minuti, e a 5 metri per 13 minuti. Infine è stata misurata la radiazione in superficie per 26 minuti.
Le distribuzioni delle misure sono risultate a vista gaussiane: per questo motivo si è ritenuto ragionevole scartare le misure che si discostano per più di 3 deviazioni standard dalla media (tre in totale) ritenendo probabile che fossero affette da un errore intrinseco. Come risultato della misura è stato considerato il valore medio per ciascuna profondità dopo questa operazione, e come errore stimato l’errore quadratico medio diviso N − 1, dove N è il numero di misure rimaste dopo la rimozione degli eventi nelle code della distribuzione.
La radiazione penetrante di origine extraterrestre che giunge al suolo è costituita prevalentemente da adroni (soprattutto protoni e pioni provenienti dagli sciami generati dall’interazione dei protoni con l’atmosfera) e soprattutto da muoni; mentre la lunghezza d’onda d’interazione inelastica ad alta energia degli adroni in acqua è di λH = 83 cm, la lunghezza di attenuazione dei muoni è di un ordine di grandezza più grande, e dunque contribuisce meno all’effetto di profondità.
Possiamo stimare pari a f ∼ 0.25 la frazione di radioattività sulla superficie del mare proveniente da particelle (per quanto detto prevalentemente adroni) di origine direttamente o indirettamente cosmica con lunghezze di attenuazione confrontabili con il metro. Il nostro modello per la misura di radioattività R in funzione della profondità d è dunque:
(1)
dove R0 è la radioattività misurata in superficie. Come già detto, ai tempi di Pacini l’interazione degli adroni di alta energia con la materia non era conosciuta; in ogni caso si riteneva che le particelle che costituivano la radiazione fossero raggi gamma. La lunghezza di attenuazione gamma usata da Pacini per i suoi calcoli era di 33 cm. In ogni caso, la lunghezza di attenuazione è tale da garantire che 3 metri di acqua schermino quasi totalmente la radiazione dall’alto.
Una verifica sperimentale quantitativa di un modello a due parametri (la frazione di radiazioni “cosmiche” e la lunghezza di attenuazione) non ha evidentemente molto senso visto che abbiamo a disposizione solo tre punti sperimentali; possiamo tuttavia assumere l’equazione (1) come modello asintotico, in accordo con quanto fatto da Pacini. Nella Fig.3 le misure di R/R0 vengono confrontate con l’equazione, e l’accordo è qualitativamente soddisfacente.
Fig.3: I risultati della misura in lago
La misura in mare
Alcuni studenti del liceo scientifico Cecioni di Livorno hanno partecipato alla misura che è stata effettuata, dopo vari rinvii per maltempo, il giorno 11/12/2019 al largo del porticciolo di S. Jacopo presso l’Accademia Navale di Livorno (Fig.4 e Fig.5).
Fig.4: Vista dell’Accademia Militare durante le misure del dicembre 2019.
Fig.5: Gli studenti del liceo Cecioni e il corpo accademico dell’Accademia Navale (a sinistra il Prof. Morganti, a destra il il T.V. Coi e il C.F: Capecchi)
Il setup utilizzato era ridondante e consisteva in due contatori “Gamma Scout” posti in scatole impermeabili “Peli case” (Fig.6). A differenza delle misure in invaso, l’esperienza in mare aperto è soggetta ad effetti esterni che possono influire sulla misura, ad es. presenza di vento e forti correnti marine.
Fig.6: Setup sperimentale usato per le misure presso l’Accademia Navale.
Gli studenti hanno effettuato le misure e verificato la diminuzione di eventi in funzione della profondità (Fig.7). Durante le misure, una delle scatole ha avuto un problema di tenuta e l’acqua ha temporaneamente bloccato il funzionamento di un contatore. La presenza di vento e corrente opposti ha modificato l’assetto in mare, le misure a profondità maggiore di 3 m (punti chiari) sono stati corretti per l’effetto dell’angolo rispetto alla verticale (punti scuri). Dal fit dei punti sperimentali si trova una frazione di radiazione alla superficie di circa 0.26 ed una lunghezza di attenuazione pari a circa 28 cm, le bande del 68% sono calcolate sul parametro f soltanto (Fig.8).
Fig.7: Logbook “online” tenuto dagli studenti.
Fig.8: Misura dell’attenuazione ottenuta in mare.
Vuoi provare ad analizzare anche tu i dati raccolti dagli studenti del Liceo Cecioni?
- Scarica il file Excel
- Prova a riprodurre il grafico della Fig.8
Conclusioni
La misura dell’effetto di schermatura delle radiazioni con il metodo di Pacini è un’esperienza entusiasmante per gli studenti. Da una parte, a differenza di quanto avviene in laboratorio, sono impegnati in una serie di misure “en plein air” con la difficoltà di risolvere problematiche sul momento ed individuare anche i motivi per un comportamento anomalo dei dati dovuto a motivazioni di sistematica. D’altra parte, i dati sono descritti da una funzione esponenziale a due parametri che permette l’analisi statistica raffinata e, quindi, un’introduzione a concetti basilari di trattamento statistico dei dati come il fit con il metodo dei minimi quadrati che può essere svolto a mano dallo studente. Utilizzando un foglio elettronico e le funzioni di base, è possibile determinare i valori ottimali dei parametri e uno studio delle bande di errore.