da Antonello Epifani | Mag 17, 2020 | Percorso Raggi Cosmici
I muoni interagiscono con la materia tanto più questa è densa. Pertanto, essendo il corpo umano “poco denso”, la probabilità che un muone interagisca con gli atomi del nostro corpo è praticamente nulla. Tutt’altra cosa avviene se consideriamo materiali densi come roccia o elementi come il piombo. I muoni, infatti, perdono tutta la loro energia in strati di roccia centinaia di metri sottoterra prima di decadere. La proprietà dei muoni di interagire con materiali densi ha portato, sin dagli anni ’60 ad alcune ricadute tecnologiche inaspettate come la muografia e la tomografia muonica.
La prima si basa sullo stesso principio della radiografia sostituendo la radiazione elettromagnetica (raggi-X) con i muoni. Il rivelatore di raggi cosmici (lo strumento che ne identifica il passaggio) viene messo di lato o sotto ad un corpo esteso che si vuole analizzare coi muoni che provengono dalla parte opposta. L’idea è quella di vedere se ci sono direzioni di arrivo di queste particelle dove mancano muoni. Quelle saranno anche le zone più dense del corpo sotto analisi. Le applicazioni sono veramente diversificate, vanno dall’analisi di un vulcano, ad un bene archeologico come le piramidi, ad una grotta sotterranea. L’INFN, ad esempio, ha pubblicato nel 2019 la prima muografia al vulcano Stromboli (link: http://home.infn.it/it/comunicazione/comunicati-stampa/3536-stromboli-realizzata-la-prima-radiografia-muonica-del-vulcano).
Rappresentazione schematica di come funziona la muografia di un oggetto esteso come un vulcano. Alcuni muoni che attraversano la montagna vengono fermati e non raggiungono il rivelatore. Questo fenomeno è più evidente maggiore è la densità dello strato attraversato.
La seconda tecnica, la tomografia, si propone di identificare i muoni che attraversano un oggetto posto tra rivelatori. Gli strumenti, posti sopra e sotto il volume da analizzare, ricostruiscono la traiettoria dei muoni in ingresso ed in uscita dall’oggetto. L’angolo tra le due direzioni sarà tanto maggiore quanto maggiore è la densità dell’oggetto attraversato. Applicazioni di questo tipo si stanno sperimentando per un ulteriore controllo ai container in transito presso le dogane, un po’ come una scansione.
Rappresentazione schematica di come funziona la tomografia a muoni. Quando le particelle attraversano un oggetto denso, la probabilità che vengano deflesse è maggiore rispetto ad una regione meno densa. I rivelatori, posti sopra e sotto la zona di analisi ricostruiscono la direzione del raggio cosmico e, di conseguenza, l’angolo tra esse.
Come si può vedere le ricadute tecnologiche dello studio di raggi cosmici secondari (muoni) hanno applicazioni molto varie e, grazie alla presenza costante di muoni prodotti nell’atmosfera, sono caratterizzate dall’assenza di una sorgente di radiazione (raggi-x, ecc..) che comporterebbe ulteriori fonti di rischio per la sicurezza del personale e dei beni analizzati.
da Antonello Epifani | Mag 6, 2020 | Percorso Raggi Cosmici
Lo studio dell’Universo si basa sull’osservazione di 4 messaggeri:
1. I Raggi Cosmici. Descritti nelle pagine precedenti sono particelle cariche che vengono deflessi dai campi magnetici galattici ed extra-galattici perdendo ogni informazione sulla posizione della sorgente che li ha prodotti.
2. I Fotoni. Sono la base dell’astronomia e vengono rivelati a diverse lunghezze d’onda, dal radio ai raggi gamma, ognuna di esse in grado di fornire informazioni sui differenti processi fisici che li producono. Sono importanti perché essendo neutri non vengono deviati dai campi magnetici conservando la direzione della sorgente.
3. I Neutrini. Interagendo debolmente con la materia possono giungere a noi dalle profondità del Cosmo portando fondamentali informazioni sulle più remote sorgenti astrofisiche e sui più potenti meccanismi di accelerazione delle particelle. Come i fotoni sono neutri quindi la loro direzione di arrivo indica la posizione dei siti di produzione.
4. Le Onde Gravitazionali. Osservate direttamente soltanto nel 2015 sono la nuova frontiera dell’astrofisica. Consentono di studiare le caratteristiche di fenomeni incredibili come la fusione di stelle di neutroni o di buchi neri che avvengono negli abissi dell’Universo.
Il 17 Agosto del 2017 con l’osservazione di onde gravitazionali dalla coalescenza di un sistema binario di stelle di neutroni nasce l’astronomia multi-messaggera.
Infatti per la prima volta un’onda gravitazionale è osservata in associazione ad eventi elettromagnetici da oltre 70 diversi rivelatori!!!
Nei giorni successivi diversi rivelatori osservano lampi di raggi gamma, esplosioni luminose, emissione di radiazione infrarossa e di raggi X dalla sorgente che ha emesso le onde gravitazionali.
L’osservazione diretta dell’ultimo messaggero (le onde gravitazionali) e l’evidenza di emissioni correlate di fotoni di diversa lunghezza d’onda, neutrini ed onde gravitazionali dalla stessa sorgente apre una nuova entusiasmante era nello studio dell’Universo, quella dell’astronomia multi-messaggera!
da Antonello Epifani | Mag 6, 2020 | Percorso Raggi Cosmici
Al livello del mare le particelle secondarie, più facilmente misurabili, sono i muoni. Se tenete il palmo della vostra mano verso il cielo, ogni secondo è attraversato da un muone. L’intensità dei muoni è, infatti, di circa 1 muone ogni cm2 ogni minuto. Queste particelle sono simili agli elettroni, ma hanno una massa 200 volte superiore. Il muone, inoltre, è una particella caratterizzata da una vita media di circa 2 milionesimi di secondo, passato questo tempo dalla loro creazione, decade ossia scompare e al suo posto appaiono altre tre particelle: un elettrone e due neutrini.
Un’inaspettata lunga vita
Molti si ricorderanno di Bilbo Baggins, il personaggio principale de Lo Hobbit di J. R. R. Tolkien e molti, inoltre, si ricorderanno la sua inaspettata lunga vita che insospettì anche il saggio Gandalf il grigio. Bilbo aveva raggiunto la veneranda età di 111 anni, un’età spropositata per la piccola razza degli hobbit, permessa solo grazie al terribile e malvagio Unico Anello che il piccolo hobbit custodiva gelosamente.
In fisica esiste una storia simile che ha per protagonista una particella elementare: il muone. Abbiamo già introdotto che il muone è una particella instabile e, dopo circa 2.2 μs, decade in un elettrone, un antineutrino elettronico e un neutrino muonico. Tuttavia la sua vita media sembra non bastare per arrivare dal punto di produzione nell’alta atmosfera alla superficie della Terra, per cui come mai riusciamo ad osservare i muoni anche a livello del mare?
Per spiegare questo fenomeno partiamo calcolando la probabilità che il muone ha di decadere in ogni istante come il rapporto tra l’intervallo di tempo che consideriamo \bigtriangleup t e la sua vita media τ: \frac{\bigtriangleup t}{\tau}, inoltre, la probabilità che non decada (sopravviva) al tempo t=\bigtriangleup t è (1-\bigtriangleup t/\tau) e che sopravviva al tempo t=2\bigtriangleup t è (1-\bigtriangleup t/\tau)^2 .
Per questo procedendo in questo modo in generale per t=N\bigtriangleup t otteniamo:
p(t)=(1-\frac{t}{N\tau})
che per N molto grandi diventa:
p(t)=e^{-\frac{t}{\tau}}.
Ora sapendo che lo spessore dell’atmosfera è di 10 km e che la velocità del muone è circa quella della luce possiamo calcolare il tempo che impiega il muone per arrivare sulla superficie terrestre:
t=\frac{10\,km}{3\times10^5\,km/s} \sim 33\mu s
e la probabilità che arrivi sulla superficie è:
e^{-\frac{t}{\tau}}\simeq10^{-7}.
La probabilità che troviamo è molto piccola e non può assolutamente giustificare il numero di muoni che vediamo a livello del mare.
Risolvere questo problema non è facile e necessita l’uso della Relatività Ristretta. In effetti, il muone viaggia alla velocità della luce rispetto ad un osservatore fermo sulla superficie della Terra e per questo percepisce il tempo scorrere più lentamente. La vita media misurata dall’osservatore fermo sulla Terra deve essere moltiplicata per un fattore chiamato fattore di Lorentz γ:
\tau_{Terra}=\gamma \tau.
In questo modo, attraverso la Relatività Ristretta, riusciamo a tenere conto della dilatazione dei tempi per oggetti che vanno a velocità prossime a quella della luce.
Possiamo azzardare qualche conto in più sapendo che i muoni a livello del mare hanno un’energia totale minima di circa 3 GeV/c2 e che l’energia totale relativistica ha questa forma:
E=\gamma m_{\mu} c^2.
Dalle relazioni sopra possiamo ricavare un \gamma\sim29 con cui calcolare poi:
p(t)=e^{-\frac{t}{\tau_{Terra}}}=0.6,
cioè un muone prodotto nell’alta atmosfera ha circa il 60 % delle possibilità di arrivare sulla superficie terrestre, una probabilità ben più grande di quella che avevamo calcolato prima.
In conclusione grazie agli effetti relativistici dovuti alla loro velocità siamo in grado di spiegare la presenza dei muoni anche a livello del mare.
Per cui nessun anello magico per la nostra particella muonica, un pizzico di fisica e l’inaspettata lunga vita è presto spiegata.
da Antonello Epifani | Mag 6, 2020 | Percorso Raggi Cosmici
I primi studi sull’elettricità fatti con gli elettroscopi mostrarono un misterioso comportamento dello strumento. Una volta caricato elettrostaticamente, le foglioline d’oro così separate tendevano a riunirsi spontaneamente. Lo strumento cioè si scaricava senza alcuna operazione. Capire la ragione della scarica spontanea degli elettroscopi, fenomeno apparentemente banale e senza particolare interesse, si rivelò, come vedremo, all’origine di un nuovo fondamentale settore della ricerca.
Da pochi anni i fisici avevano scoperto l’esistenza della radioattività naturale, cioè l’emissione spontanea di particelle da parte di alcuni materiali, e sembrava che la velocità di scarica degli elettroscopi fosse dovuta alla presenza di radioattività più o meno intensa nelle sue vicinanze. Venne quindi naturale attribuire la scarica degli elettroscopi ad una radioattività in qualche modo presente nel terreno, cioè ad una radioattività di “fondo” presente ovunque, anche in assenza di uno specifico materiale radioattivo. Naturalmente si poneva il problema di capirne l’origine.
Siccome si ritenne che la causa fosse nel terreno, fu naturale controllare questa ipotesi spostando gli elettroscopi in alto, il più lontano possibile dal suolo per vedere se l’effetto diminuiva.
Padre Theodore Wulf fu il primo ad indagare il fenomeno in modo sistematico e con un elettroscopio di particolare qualità. Scelse di fare misure sulla sommità della Torre Eiffel, 300 metri più in alto del sottostante parco. Appena acceso lo strumento con grande stupore si accorse che il segnale fornito dall’elettroscopio non era quello che aveva immaginato. Non era cioè diminuito come atteso.
Tra i vari studiosi che indagarono il fenomeno, un ruolo importante lo ebbe il fisico italiano Pacini che per la prima volta pensò di mettere rivelatori non in alto ma sotto la superficie dell’acqua, aprendo la strada a quella che poi fu la sperimentazione nei laboratori sotterranei. I suoi risultati suggerirono di nuovo che la fonte di questa misteriosa radiazione che agiva sugli elettroscopi non dovesse essere legata al suolo terrestre.
Anche se non definitivi, questi risultati crearono molto scompiglio nella comunità scientifica e vennero ritenuti inattendibili dalla maggior parte degli scienziati finché, nel 1912, il fisico austriaco Victor Hess decise di effettuare un nuovo esperimento, per quei tempi innovativo e audace. Si trattava di portare lo strumento non a 300 metri dal livello del suolo, ma a migliaia di metri di altitudine con un pallone aerostatico. Questo avrebbe consentito di chiarire se, insieme alla radioattività di fondo, ci fosse un’altra sorgente di radiazione esterna alla Terra. Hess si rendeva conto che, per togliere ogni dubbio alla misura, era necessario che sul pallone ci fosse un esperto in grado di operare lo strumento e di interpretare i risultati con certezza. Decise di imbarcarsi lui stesso sul pallone. Dopo alcuni voli, il 7 Agosto 1912 fu un giorno memorabile!
Man mano che il pallone si innalzava dal suolo, il livello di radiazione, in accordo con quanto osservato da Wulf, diminuiva molto più lentamente di quanto atteso, fino a stabilizzarsi verso i 700 metri. A partire dai 1500 metri di elevazione, il segnale ricominciò a crescere finché, a 5000 metri dal suolo, raggiunse un livello addirittura doppio rispetto al segnale di fondo misurato al suolo.
Non c’erano più dubbi: una radiazione di origine ignota proveniva dallo spazio penetrando l’atmosfera terrestre! Per questa scoperta, Hess venne insignito del premio Nobel nel 1946.
La natura di questa radiazione proveniente dal cosmo restò misteriosa per molti anni. Nel 1925, R. A. Millikan, ipotizzò che consistesse di raggi gamma (onde elettromagnetiche) fuori della zona del visibile, dandogli il nome di “raggi cosmici”. Un altro fisico importante, A. H. Compton, riteneva invece che si trattasse di particelle cariche. Esperimenti successivi mostrarono che la seconda ipotesi era quella valida. La distribuzione della radiazione variava infatti con la latitudine, come ci si attende appunto per le particelle cariche (e non per i raggi gamma, che non hanno carica) sotto l’influenza del campo magnetico terrestre.
Nel 1930, il fisico italiano B. Rossi ebbe l’idea di sfruttare il campo magnetico terrestre per determinare la carica delle particelle. Infatti egli notò che, se la carica delle particelle era positiva, esse dovevano provenire in maniera preferenziale da est. Per realizzare le sue misure Rossi sviluppò il primo esempio di “telescopio di raggi cosmici” e, per ridurre il fondo di eventi casuali, mise a punto il cosiddetto circuito di coincidenza. Fu questa una vera rivoluzione tecnologica applicata in tutti i successivi esperimenti di fisica. La tecnica di coincidenza consiste nel mettere in correlazione temporale più rivelatori per assicurarsi che la stessa particella, o particelle legate allo stesso evento fisico, attraversino ‘contemporaneamente’ tutti i rivelatori in coincidenza.
Il suo esperimento fu realizzato in Eritrea, vicino all’equatore, dove la deflessione attesa in seguito all’azione del campo magnetico terrestre era maggiore. Poté così confermare che la radiazione cosmica era composta prevalentemente da particelle cariche positivamente.
Ma il termine “raggi cosmici”, creato nell’ipotesi che si trattasse di una radiazione senza carica, era ormai entrato nell’uso comune.
Più di 50.000 raggi cosmici secondari attraversano il nostro corpo nel tempo necessario a leggere queste pagine! Il loro studio ha consentito molti progressi nella fisica permettendo di ricavare utili informazioni sulla natura del mondo subatomico prima ancora che gli acceleratori di particelle fossero inventati. Tali ricerche hanno mostrato che, tra le particelle secondarie, non ci sono soltanto quelle che compongono la materia ordinaria (elettroni, protoni e neutroni), ma anche altre di natura fino ad allora sconosciuta! Il positrone e il muone vennero appunto scoperti in questo modo. Il positrone è l’antiparticella dell’elettrone, la sua scoperta, da parte di Carl David Anderson confermò nel 1928 le predizioni di P. M. A. Dirac sull’esistenza dell’antimateria.
Anderson vinse il premio Nobel nel 1936 per questa scoperta. Nel 1937, sempre Anderson, insieme al suo studente Seth H. Neddameyer, studiando le interazioni dei raggi cosmici, scoprì una nuova particella, il muone, che ha la stessa carica elettrica dell’elettrone ma è 210 volte più pesante e, diversamente dall’ elettrone, non è stabile ed ha vita molto breve.
Oggi sappiamo molte cose sui raggi cosmici, ma tante, dopo oltre 100 anni dalla loro scoperta, sono quelle ancora ignote.
da Antonello Epifani | Mag 6, 2020 | Percorso Raggi Cosmici
I raggi cosmici nello spazio sono particelle elettricamente cariche costituite principalmente da protoni (circa per il 90%), nuclei di elio (circa 9%) e il rimanente 1% da tutti gli altri nuclei atomici della tavola periodica, elettroni e le rispettive anti-particelle. Le sorgenti dei raggi cosmici possono essere sia galattiche sia extra-galattiche.
La figura mostra il cosiddetto “spettro dei raggi cosmici”, cioè il numero di particelle che colpisce l’atmosfera terrestre in funzione della loro energia. Sull’asse verticale è indicata la quantità o flusso di particelle (il numero di particelle per m2 secondo, steradiante ed energia in GeV) mentre sull’asse orizzontale è riportata l’energia misurata in elettronvolt (eV). Questo è il cosiddetto spettro “all particle”: ottenuto sommando tutti i raggi cosmici senza separarli in composizione, cioè per tipologia. Da questo grafico si possono notare le seguenti cose:
- I raggi cosmici non hanno tutti la stessa energia ma sono prodotti su un intervallo di energie enorme, sono distribuiti cioè su più di 11 ordini di grandezza! Si pensi che l’energia del più grande acceleratore esistente, LHC al CERN, è di circa 1017eV, 1000 meno energetico della massima energia osservata nei raggi cosmici.
- Si sono osservate particelle fino ad energie incredibilmente elevate, ben 1020eV! Queste sono energie che non siamo assolutamente in grado di riprodurre con gli acceleratori che costruiamo. E non abbiamo ancora modelli definitivi per spiegare come sia possibile accelerare particelle fino a tali valori.
- Il flusso di particelle diminuisce molto rapidamente con il crescere dell’energia. Se l’energia aumenta di 10 volte il loro numero diminuisce di circa 1000 volte. Come indicato anche nella figura, a 108eV si misurano circa 100 eventi/m2 secondo, a 1015eV si ha 1 particella/m2 anno, a 1019 eV 1 particella/km2 anno ed infine a 1020 eV circa 1 particella/km2 secolo!
Un viaggio spaziale
Una volta che queste particelle vengono accelerate, indipendentemente dal tipo di sorgente, esse propagano (si muovono) nello spazio all’interno del mezzo intergalattico (tra le galassie), interstellare (tra le stelle) e interplanetario (tra i pianeti) prima di raggiungere la Terra. In questo lungo viaggio, le particelle interagiscono con: altre particelle, campi magnetici e campi di radiazione elettromagnetica. A seconda del tipo di particella in gioco, l’effetto di questi fenomeni può cambiare l’energia del raggio cosmico, modificarne la traiettoria, provocarne la scomparsa o la creazione di altre particelle.
Ecco perché studiare i raggi cosmici è importante per conoscere l’ambiente che ci circonda. In base a quanti e quali particelle arrivano in prossimità del nostro pianeta possiamo avere informazioni su chi li ha prodotti e come hanno fatto ad arrivare fino alla Terra. Informazioni sul mezzo attraversato ci permettono di studiare anche il nostro Sole, il campo magnetico terrestre ecc. Quindi, i raggi cosmici portano, con loro, una grandissima quantità di informazioni che aiuteranno a conoscere lo spazio, al di là del sottile strato di atmosfera, anche in previsione dei futuri viaggi spaziali.
I raggi cosmici di energia inferiore a qualche decina di GeV sono soggetti all’attività solare e, a più bassa energia sono in parte prodotti nei brillamenti solari (flares), cioè nelle potenti eruzioni di materia che avvengono sulla superficie del Sole. Lo studio della radiazione emessa da questi fenomeni è molto importante perché può rappresentare un pericolo per le missioni spaziali e può interferire pesantemente con le comunicazioni radio sulla Terra. Le particelle energetiche emesse in queste esplosioni sono le prime responsabili dello spettacolare fenomeno delle aurore polari.
Avvicinandosi alla superficie terrestre
Il numero di raggi cosmici che si può misurare Nrc è dato dalla seguente semplice relazione Nrc = Φrc x A x T, dove Φrc è il flusso di particelle che giungono a ridosso dell’atmosfera terrestre, A è l’area del rivelatore e T è il tempo di misura. Naturalmente non possiamo modificare il flusso Φrc dato dalla natura ma possiamo costruire rivelatori di grande area A e farli funzionare per lungo tempo T (almeno 5 anni) per registrare un gran numero di eventi importante per condurre studi approfonditi.
Le misure possono essere fatte in due modi molto differenti: (1) direttamente, cioè mandando i rivelatori fuori dall’atmosfera terrestre (o nei primissimi strati di essa) per rivelare i raggi cosmici direttamente, cioè prima che interagiscano con i nuclei dell’atmosfera e quindi si trasformino in complessi sciami estesi. Per fare questo i rivelatori vengono messi su palloni, satelliti o sulla ISS. Come è facile capire i rivelatori che possono essere mandati in orbita devono essere leggeri, quindi piccoli. L’area tipica è il metro quadrato; (2) indirettamente, disponendo appositi rivelatori sul suolo terrestre. In questo caso si misurano i prodotti secondari dell’interazione della particella primaria con i nuclei dell’atmosfera. Si osservano cioè le componenti (particelle e radiazione) degli sciami atmosferici estesi. In questo caso la misura è più complessa, non osservandosi direttamente il raggio cosmico primario, ma il vantaggio principale è che possono essere costruiti rivelatori enormi per misurare il flusso anche ad energie elevate, quando il numero di raggi cosmici che raggiunge la Terra è bassissimo.
Ecco allora che per energie superiori a circa 100 TeV è inevitabile ricorrere a misure indirette al suolo e costruire grandi apparati per rivelare un numero di particelle statisticamente sufficiente a fare studi approfonditi.
A 1019 eV, ad esempio, dovremmo portare fuori dall’atmosfera un rivelatore con un’area maggiore di Villa Borghese (0.8 km2), uno dei parchi pubblici più grandi di Roma, per raccogliere 1 particella in un anno. Questi apparati al suolo rivelano i cosiddetti “Sciami Atmosferici Estesi”.
Vediamo allora di cosa si tratta e cosa succede quando un raggio cosmico entra nell’atmosfera terrestre dopo aver vagabondato per miliardi di anni nell’Universo. Quando un raggio cosmico primario, ad esempio un protone, entra nell’atmosfera terrestre subisce una interazione nucleare con i nuclei di aria. Questa interazione è simile a quelle che avvengono nei più potenti acceleratori di particelle costruiti dall’uomo, come LHC al CERN. La principale differenza è che con i raggi cosmici si possono avere interazioni ad energie cosi’ elevate che mai si riusciranno a replicare nei nostri laboratori.
Il risultato di questi urti è la produzione di un gran numero di mesoni, principalmente pioni ma anche kaoni, seppure in misura molto minore. Queste particelle emergono equamente suddivise in 3 diverse diverse cariche (positiva, negativa e neutra).
Il primario non viene distrutto in questa interazione ma continua a muoversi verso il suolo, anche se con energia ridotta di circa il 50%, e subisce nuove successive analoghe interazioni.
I mesoni invece possono decadere o interagire anche essi con un nucleo di aria. Le particelle elettromagnetiche (elettroni, positroni e fotoni) ed i muoni sono prodotti essenzialmente nel decadimento dei pioni. I pioni neutri decadono immediatamente in due fotoni e producono dei sotto-sciami puramente elettromagnetici, quelli carichi sono invece i responsabili della produzione dei muoni.
Tutte queste particelle formano un “fascio” di particelle, noto anche con il nome di “core” dello sciame, con una dimensione di pochi metri. Man mano che le particelle cariche si propagano verso il suolo, esse subiscono tante piccole deflessioni in seguito alle interazioni con i campi elettrici dei nuclei di aria. L’effetto cumulativo è di farle sparpagliare lateralmente in modo da non essere più contenute solo all’interno del core che resta pero’ la zona con la più alta densità di particelle.
L’insieme di questi complessi processi moltiplicativi genera i cosiddetti “Sciami Atmosferici Estesi”(EAS, Extensive Air Showers), una pioggia di particelle (i cosiddetti raggi cosmici secondari) che arriva al suolo contenuta in un disco con uno spessore di pochi metri.
Uno sciame è composto da 3 componenti:
- la componente elettromagnetica (elettroni, positroni, fotoni): è di gran lunga la più numerosa e rappresenta circa il 90% delle particelle;
- la componente muonica: è la componente più penetrante, in grado cioè di attraversare grandi quantità di materia. Rappresenta circa il 10% delle particelle di uno sciame;
- la componente adronica: la componente minore, una frazione di circa 1% di tutte le
Pur essendo la componente meno numerosa, gli adroni sono particelle estremamente importanti rappresentando lo scheletro di uno sciame esteso perchè sono essi a rifornire di energia, dopo le interazioni, le componenti elettromagnetica e muonica. Il punto importante è che il rapporto tra le differenti componenti secondarie dipende dal rapporto tra interazione e decadimento delle particelle durante la loro propagazione nell’atmosfera.
Dal punto di vista sperimentale la componente secondaria carica dei raggi cosmici viene generalmente separata in:
- componente penetrante, costituita da muoni con E>1TeV,
- componente ‘dura’, costituita da muoni con E>200MeV,
- componente ‘soft’, principalmente composta da elettroni e positroni
Storicamente, la suddivisione tra componenti soft e dura era fatta in base alla capacità delle particelle di attraversare 10 cm di piombo. Questa suddivisione è utile perchè le tecniche sperimentali, quindi i rivelatori, per la loro misura sono ben differenti. Ad esempio, la rivelazione della componente penetrante può essere effettuata solo con rivelatori posti dentro un laboratorio sotterraneo come quello del Gran Sasso, schermato da circa 1000 m di roccia, necessaria ad assorbire tutte le altre componenti e selezionare particelle con energie superiori al TeV.
Gli sciami estesi non contengono solo particelle ma anche radiazione, come luce Cherenkov, radiazione di fluorescenza ed onde radio di alta frequenza (MHz). Radiazione che viene studiata con sofisticati telescopi.
Ricordiamo qui soltanto che i telescopi Cherenkov sono una delle tecniche sperimentali più efficaci per l’osservazione di sorgenti di fotoni cosmici al suolo (nella cosiddetta Astronomia Gamma) e che i telescopi per luce di fluorescenza sono uno dei principali rivelatori dell’osservatorio Pierre Auger.
Gli sciami atmosferici furono scoperti per caso, grazie alla diffusa applicazione nello studio dei raggi cosmici di contatori in coincidenza. Questi venivano posti generalmente in configurazione telescopica, cioè allineati lungo un asse passante per il loro centro. E solo in questo caso si osservavano coincidenze, cioè 2 o più di essi, contemporaneamente, davano il segnale del passaggio di una particella.
Ma prima di costruire il telescopio, i rivelatori venivano provati disponendoli separatamente su di un piano orizzontale. Nessuno si sarebbe aspettato di registrare un segnale di coincidenza tra essi perchè una stessa particella non poteva attraversarli tutti. Eppure in molti notarono che il numero di coincidenze tra essi era troppo grande per essere attribuito completamente al caso.
Fu Bruno Rossi nel 1934 il primo a suggerire che si potesse essere difronte ad un nuovo fenomeno fisico. Egli infatti scrisse in un articolo: “Sembrerebbe che di quando in quando arrivino sugli strumenti gruppi di particelle molto estesi in grado di produrre coincidenze anche tra rivelatori piuttosto distanti tra loro”. Fu la prima evidenza dell’esistenza degli sciami atmosferici estesi!
Rossi fu il primo ad intuire che i raggi cosmici potessero produrre anche in atmosfera quei processi moltiplicativi osservati nei materiali densi come il piombo.
Diversi gruppi indipendentemente cercarono di spiegare il fenomeno, in particolare ricordiamo nel 1938 Bothe, Kolhorster e Schmeiser, misurando la cosiddetta curva di decoerenza, cioè il numero di coincidenze in funzione della distanza tra i rivelatori.
Nello stesso periodo, Auger e Maze, sfruttando un circuito di coincidenza con un tempo di risoluzione molto inferiore, intrapresero una campagna di studi sistematici delle caratteristiche di questi sciami riuscendo a misurare coincidenze tra rivelatori distanti anche 300 m!
E risultato probabilmente ancora più importante, stimarono che l’energia del primario all’origine di questi eventi fosse di circa 1015 eV! Era nato lo studio degli Sciami Atmosferici Estesi di altissima energia.
da Antonello Epifani | Mag 6, 2020 | Percorso Raggi Cosmici
Le tecniche per rivelare i raggi cosmici dipendono dalla loro energia. Come ricordato nella precedente sezioni, più l’energia è elevata meno abbondanti sono le particelle e più grandi devono essere i rivelatori. Questo significa che i raggi cosmici primari possono essere misurati direttamente nello spazio solo alle energie più basse. Per le energie più alte i più grandi rivelatori devono essere necessariamente posti al suolo e possono misurare solo i raggi cosmici secondari. Si tratta di collaborazioni internazionali cui l’INFN partecipa attivamente con grande successo. Di seguito verranno menzionati alcuni tra i più grandi e significativi esperimenti.
Nello spazio
Le particelle meno energetiche sono assorbite durante la loro propagazione nell’atmosfera terrestre. Per rivelarle pertanto si inviano sofisticati rivelatori in orbita fuori dell’atmosfera con palloni stratosferici, satelliti o sfruttando la Stazione Spaziale Internazionale. Queste misure sono dette “dirette” perché vengono rivelati direttamente i raggi cosmici primari.
Esperimento AMS (Alpha Magnetic Spectrometer) sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS)
Un esperimento che fa misure dirette fuori dall’atmosfera è AMS (https://ams02.space/), in orbita sulla Stazione Spaziale Internazionale. Uno degli obiettivi dell’esperimento è cercare l’antimateria primaria, ossia quella esistente nei raggi cosmici che arrivano dalle profondità dello spazio, che non va confusa con l’antimateria prodotta dalle interazioni secondarie con l’atmosfera. Un altro importante esempio è il rivelatore Fermi che studia principalmente i fotoni provenienti da sorgenti galattiche ed extra-galattiche.
Sulla Terra
All’aumentare della loro energia i raggi cosmici possono raggiungere la superficie terrestre ed essere rivelati con rivelatori posti sul suolo. In questo caso non si rivelano direttamente i raggi cosmici primari ma i prodotti della loro interazione con l’atmosfera, i “raggi cosmici secondari” che costituiscono gli Sciami Atmosferici Estesi. In questo caso le misure sono dette “indirette”. Nel corso degli anni ’90 del secolo scorso, a Campo Imperatore (2000 m slm), presso i Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’INFN, era in funzione l’esperimento EAS-TOP, un importante esperimento per lo studio della radiazione cosmica.
Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’INFN.
Dal 2000 al 2013 l’INFN ha costruito ed operato l’esperimento ARGO-YBJ in Tibet (4300 m slm), costituito da un ‘tappeto’ continuo di rivelatori del tipo Resistive Plate Chambers (RPCs), rivolto principalmente alla rivelazione di eventi prodotti da fotoni provenienti da sorgenti galattiche ed extra-galattiche.
Rilevatori di superficie dell’Osservatorio Pierre Auger in Argentina
Da 20 anni l’INFN partecipa all’esperimento Auger in Argentina, il più esteso esperimento per lo studio dei raggi cosmici mai costruito, con i suoi rivelatori distribuiti su un’area di circa 3000 km2. Lo scopo di questo esperimento è di studiare i raggi cosmici di più alta energia mai osservata.
Coprire aree ancora più grandi di quelle dell’osservatorio Auger, è molto difficile. Per ovviare a questo problema, si sta esplorando, nell’ambito della collaborazione JEM-EUSO, la possibilità di studiare gli sciami atmosferici estesi dall’alto. Questo potrebbe consentire di coprire un’area di circa 100000 km2, enormemente più grande di quella di Auger, e in più, con lo stesso strumento, potremmo studiare i raggi cosmici prodotti nel cielo sia dell’emisfero Sud che dell’emisfero Nord.
Sottoterra
Tra i raggi cosmici secondari, i muoni di più alta energia riescono ad attraversare grandi spessori di materia (roccia, ghiaccio o acqua) per essere studiati in dettaglio al riparo dalle altre componenti che sono invece assorbite.
I più grandi laboratori sotterranei al mondo sono i Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’INFN. Qui, schermati da circa 1000 metri di roccia sovrastante, differenti esperimenti studiano i raggi cosmici, i neutrini provenienti dal Sole o dalle esplosioni delle Supernovae e cercano anche le misteriose particelle che si ritiene compongano la materia oscura.
Sicuramente l’esperimento più complesso è IceCube, situato sotto 1500 metri di ghiaccio al Polo Sud, presso la base americana Amundsen-Scott. Questo esperimento cerca neutrini astrofisici di altissima energia provenienti dalle profondità del cosmo. Gli eventi recentemente osservati forniscono un fondamentale contributo alla soluzione del problema dell’origine dei raggi cosmici.
Esperimento IceCube al Polo Sud
A più di un secolo dalla loro scoperta ci sono ancora molti misteri sull’origine ed i meccanismi di accelerazione e propagazione dei raggi cosmici che, grazie alle elevate energie che possono raggiungere, continuano ad essere un importante campo di ricerca per esplorare non solo il mondo subatomico ma per capire l’evoluzione del nostro Universo.