Dal 2009 LUCID (LUminosity Cherenkov Integrating Detector) è il principale rivelatore addetto alla misura della luminosità di ATLAS, passando attraverso aggiornamenti nel design, nella tecnologia di rivelazione, nell’elettronica e nella struttura software. Grazie al suo design semplice, caratterizzato da numerose ridondanze, sistemi di controllo e sostituzione rapida di eventuali componenti problematici, ha ottenuto eccellenti risultati di precisione della misura e stabilità.
Sin dalla sua progettazione, la Collaborazione LUCID è stata composta principalmente da membri della sezione di Bologna, che tutt’oggi ne contano oltre la metà, con il contributo estero da parte dei gruppi di Lund e Alberta. La comunità italiana si è occupata di tutte le fasi di sviluppo del progetto, che l’hanno portata ad avere ruoli di responsabilità sui sistemi di acquisizione dati, monitoraggio del detector e delle schede di elettronica così come sui futuri upgrade previsti per i prossimi anni.
Ma cos’è la Luminosità?
In breve, la luminosità misura quanto frequentemente e intensamente si scontrano le particelle in un acceleratore. Essa è, quindi, legata da un lato ai parametri dell’acceleratore nel punto di interazione e dall’altro alla frequenza con cui vengono prodotti i processi fisici nell’esperimento.
Per esempio, dato un processo come la produzione di bosoni di Higgs, la luminosità è definita come L = R/σ. Dove R è la frequenza cui vengono prodotti bosoni di Higgs (H) e σ è la sezione d’urto di produzione di H.
Nei rivelatori dedicati, la luminosità viene calcolata come L=Rvis/ σ vis, dove Rvis è la frequenza di interazione con il rivelatore e σ vis è la probabilità di interazione con il rivelatore. Nei rivelatori, come LUCID, in cui non è possibile distinguere ogni singola traccia di particelle che lo attraversano, il calcolo è un po’ più complicato e lo vedremo più giù.
Il legame con i parametri dell’acceleratore nel punto d’interazione è espresso dalla seguente formula:
dove f è la frequenza di rivoluzion di LHC, N il numero di particelle all’interno dei pacchetti che collidono e σx e σy le distribuzioni spaziali.
Questo rapporto viene sfruttato per effettuare una calibrazione assoluta dei rivelatori di luminosità tramite i cosiddetti Van der Meer scan, durante i quali i due fasci di protoni vengono allontanati e poi riavvicinati lungo i due assi, determinandone la distribuzione spaziale.
LUCID 1
La prima versione di LUCID era composta da una serie di cilindri di alluminio disposti attorno al tubo del fascio a circa 20 metri ai due lati del punto di interazione. I cilindri erano riempiti di gas, nel quale si produceva radiazione Cherenkov, la cui luce veniva poi raccolta e trasformata in un segnale elettrico da dei fotomoltiplicatori (PMT) Hamamatsu R762.
La carica dei segnali elettrici veniva poi letta attraverso una serie di discriminatori posti a 100 metri dal rivelatore. Questi potevano essere operati in modalità a soglia o a frazione costante: nel primo caso viene fornito un segnale di uscita quando quello di ingresso supera un certo valore stabilito, mentre nel secondo si guarda alla salita del segnale cercando una certa frazione del massimo.
Durante i primi mesi del Run 1 (2009-2013) in ATLAS si notò che il segnale dei PMT era composto in realtà da due segnali, uno prodotto nel gas e uno prodotto nella finestra di quarzo del PMT. Con l’aumentare del numero di interazioni all’interno di ogni collisione, il segnale prodotto dal gas presentava crescenti non-linearità, per cui dopo un primo periodo il gas fu rimosso e il rivelatore operato solo con il segnale della finestra di quarzo.
Al rivelatore principale era affiancato un apparato sperimentale composto da fibre ottiche la cui luce veniva letta da un PMT (Fig. 1). Per quanto non utilizzato per la misura della luminosità, questo primo prototipo ha permesso di imparare molto sul comportamento delle fibre ottiche come rivelatore di effetto Cherenkov.
LUCID 2
Nonostante LUCID I avesse fornito una ottima misura di luminosità in questo periodo, il Run 1 di ATLAS aveva mostrato alcune sue debolezze. Inoltre, il passaggio a una luminosità più alta e a una separazione tra i “pacchetti” di protoni (bunch) di 25 nano-secondi (ns) contro i 50 ns del Run 1, richiedevano un significativo miglioramento delle capacità del rivelatore. Partì così il progetto di LUCID 2 (Fig.2). Il nuovo design prevedeva 16 PMT per lato, modello Hamamatsu R760, una versione più piccola degli R762 usati in LUCID I. Un’importante novità fu l’introduzione di un sistema di monitor della performance dei PMT. Alcuni di questi erano calibrati con una sottile fibra ottica che portava luce prodotta da un LED davanti alla finestra dei PMT, altri erano equipaggiati con un nuovo sistema basato su una sorgente di isotopi di bismuto (207Bi) depositata sulla superficie. Gli elettroni prodotti per conversione interna dal bismuto generano un segnale Cherenkov simile a quello delle particelle prodotte in ATLAS, che viene usato per mantenere costante il guadagno dei fotomoltiplicatori. Anche il rivelatore a fibre fu trasformato con una topologia più regolare, implementando inoltre il sistema di controllo dei PMT. Anche l’elettronica di LUCID cambiò completamente: una nuova scheda denominata LUCROD fu sviluppata per acquisire e digitalizzare i segnali in modo rapido e preciso a pochi metri dal rivelatore, rispettando quindi i 25 ns di separazione tra i bunch. Nuovi firmware e software furono sviluppati per sfruttare al massimo il nuovo rivelatore e fornire la massima flessibilità in caso di eventuali problemi di elettronica o PMT.
Grazie a questi miglioramenti LUCID è stato il rivelatore ufficiale di luminosità, online e offline, di ATLAS per tutto il Run 2 (2015-2018), fornendo una misura stabile nel tempo con variazioni entro l’1% e un’incertezza sulla luminosità totale registrata da ATLAS dello 0.8%. Ovviamente ci sono stati imprevisti, in particolare alcuni PMT hanno smesso di funzionare improvvisamente e senza apparente motivo. Ma grazia alla ridondanza del sistema e a PMT di riserva preinstallati, LUCID è riuscito a superare anche queste difficoltà. Il problema è poi stato identificato nel sistema di collegamento tra PMT e alimentazione quando esposto a radiazione e alte correnti.
Per il Run 3 (2022-2025) di ATLAS il rivelatore principale è rimasto praticamente lo stesso. Le principali differenze consistono nell’utilizzo della sorgente di 207Bi per il monitoraggio di tutti i PMT, nell’utilizzo di un sistema di connessione all’alimentazione e piccole migliorie dal Software e al Firmware. In aggiunta al rivelatore principale, sono stati installati nuovi rivelatori sperimentali in vista del nuovo progetto High-Luminosity LHC (HL-LHC).
LUCID 3 per HL-LHC
Nel 2029 LHC entrerà in una fase ad alta luminosità, con un numero di interazioni per ogni collisione fino a 5 volte superiore a quello corrente. Il rivelatore attuale non sarà in grado di fornire una misura precisa in queste condizioni estreme. Inoltre il rischio di avere un grande numero di PMT non funzionanti nell’arco di un anno sarà rilevante. Per superare il problema sono state ideate diverse soluzioni: usare PMT più piccoli, posti in una posizione più lontana dal fascio e utilizzare nuove strategie per la misura della luminosità. Il progetto del LUCID 3 è già stato approvato da ATLAS e dall’INFN ed è in corso di sviluppo. In particolare, diversi prototipi sono stati costruiti e installati in ATLAS per valutare le performance delle diverse soluzioni in esame.
La principale modifica per HL-LHC consiste in piccoli PMT (8 mm di diametro, contro i 10 mm precedenti) attaccati all’interno di una cavità nello scudo che circonda la beam-pipe. In questa posizione i PMT vengono attraversati da un flusso del 25% inferiore a quello che attraversa il rivelatore attuale. Grazie al prototipo installato, questo valore è già stato confermato da misure reali. La riduzione della dimensione del PMT porta a una conseguente riduzione delle correnti e del rate del 65%. In alternativa, un altro rivelatore prototipo installato dietro lo scudo riduce in modo ancora più marcato il flusso di particelle. Per quest’ultimo si stanno svolgendo misure per valutarne le capacità.
Infine, è in corso di valutazione un nuovo prototipo di rivelatore a fibre ottiche, che utilizza un doppio sistema di calibrazione per controllare sia il guadagno dei PMT sia l’opacizzazione delle fibre causata delle radiazioni. Nel futuro, questo potrebbe essere uno strumento per misurare la luminosità tramite la carica totale acquisita in un bunch crossing senza avere i PMT in zone intensamente irradiate.
Conclusioni
LUCID è stato un rivelatore estremamente efficace, soprattutto durante il Run 2, e ci aspettiamo che continui a esserlo nel Run 3 e durante HL-LHC. Ci ha insegnato che per certi tipi di rivelatore la semplicità e la ridondanza possono dare risultati stabili e precisi, con i giusti accorgimenti. Inoltre ha portato allo sviluppo di metodi di calibrazione innovativi che potrebbero essere utilizzati anche in futuro in altri rivelatori.
Testo a cura di Federico Lasagni Manghi.
Revisione di Giuseppe Carratta.
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