Atlas, Atlas Rivelatore, Upgrade
Dopo il primo anno di attività e lo stop invernale, il Run3 del Large Hadron Collider (LHC) è ripreso a pieno regime ad un’energia nel Centro di Massa di 13.6 TeV. Ed è proprio tale aumento di intensità dei due fasci di protoni, ancor più marcato nella futura fase di High-Luminosity (HL-LHC), che ha portato alla sostituzione di alcune parti del rivelatore ATLAS a favore di altre più performanti. È il caso della parte più interna dello Spettrometro a Muoni, in cui le Small Wheels sono state sostituite dalle New Small Wheels (NSW), equipaggiate dai rivelatori MicroMegas (MM) e small-strip Thin Gap Chambers (sTGC) di cui abbiamo già parlato in un nostro precedente articolo.
Il lavoro dietro la realizzazione, assemblaggio e verifica delle funzionalità di questo nuovo apparato è stato monumentale ed ha coinvolto fisici ed ingegneri da tutto il mondo, con un contributo non trascurabile da parte della comunità italiana di ATLAS, coinvolta nell’assemblaggio degli Small-Module 1 (SM1). Ciò si è articolato in tre fasi generali, descritte in dettaglio di seguito, antecedenti alla messa in funzione vera e propria dell’apparato, una volta installato nella caverna di ATLAS: una prima fase di assemblaggio del rivelatore in superficie, una seconda di trasporto e discesa nella caverna sperimentale e infine una terza per l’installazione finale e test combinati con gli altri rivelatori preesistenti.
La prima fase si è svolta in un capannone industriale nel sito CERN di Meyrin ed aveva lo scopo di assemblare il rivelatore nella sua interezza effettuando, parallelamente, dei primi test di funzionamento in un contesto standalone, isolato da possibili interazioni con altri apparati: ciò ha permesso di identificare, isolare e risolvere tempestivamente gli eventuali problemi riscontrati.
Le verifiche effettuate hanno coinvolto sia il rivelatore stesso (verifiche del corretto collegamento dei poli elettrici positivo-negativo, controlli di tenuta del gas, monitoraggi di temperatura) sia l’elettronica di lettura installata, utilizzando un nuovo sistema di AcQuisizione Dati (DAQ) ed innovativo rispetto agli standard attualmente utilizzati in ATLAS. Ciò ha comportato un grande numero di calibrazioni e test, tra cui val la pena ricordare le stime riguardanti il rumore elettronico intrinseco, la carica ed i tempi medi di raccolta dalle unità di lettura in condizioni simulate. L’insieme di tutte queste verifiche ha costituito un primo benchmark delle prestazioni dell’intero apparato, nonché un riferimento rispetto alle operazioni future.
La seconda fase è stata la più delicata da un punto di vista realizzativo, poiché ha comportato lo spostamento di una struttura già assemblata per ~1-2 km, dal sito di assemblaggio fino al pozzo di accesso dell’area sotterranea, alla cui base si trova il rivelatore ATLAS.
Il trasporto è durato svariate ore, che sono diventati giorni considerando tutte le operazioni antecedenti e successive allo spostamento, comprensive di ancoraggio e messa in sicurezza dell’apparato contro gli agenti atmosferici ed elettrici: trattandosi di una struttura in metallo, è stato fondamentale verificare la corretta messa a terra dell’intera struttura, per evitare che possibili scariche di elettricità statica potessero arrecare danno ad una qualsiasi parte dell’apparato.
La terza ed ultima, ma non per importanza, fase è stata la più cruciale ed ha coinvolto l’integrazione del nuovo rivelatore all’interno dell’infrastruttura di ATLAS già esistente. I primi ad essere realizzati sono stati collegamenti meccanici ed elettrici, la cui “sala operativa” è sita in una delle 3 caverne sotterranee, Underground Services 15 (US15). Successivamente è stato il turno dell’elettronica, le cui estremità sono site nella terza caverna sotterranea, Underground Service Area 15 (USA15), insieme all’elettronica associata a tutti gli altri rivelatori che compongono ATLAS.
Già il solo fatto di avere tale dislocazione spaziale, con distanze indubbiamente maggiori rispetto a quelle di superficie, è una motivazione necessaria e sufficiente per ripetere tutte le operazioni effettuate precedentemente sull’elettronica di lettura, al fine di ottenere un nuovo set di calibrazioni: il primo passo è un confronto con i risultati ottenuti quando l’apparato si trovava in superficie; in assenza di inconsistenze non compatibili con gli errori sperimentali, si procede ad utilizzare le nuove calibrazioni trovate in fase di presa dati. Sebbene la procedura descritta sembri relativamente semplice, in realtà trattasi si tratta di operazioni estremamente lunghe e complesse: il livello di complessità può arrivare a richiedere dei trattamenti ad-hoc, fino al livello di singolo canale di lettura, e gli eventuali problemi sono, spesso e volentieri, la convoluzione di più fattori apparentemente slegati tra loro.
Negli ultimi anni sono stati fatti dei progressi senza precedenti e si è sempre più vicini al raggiungimento di una flessibilità, da parte di tutti i componenti che coinvolgono il sistema NSW, tale da far fronte ai cambi delle condizioni di acquisizione dati nella maniera più efficiente possibile.
Nell’ immagine possiamo vedere uno dei primi eventi registrati con i nuovi rivelatori:
Le NSW hanno rappresentato una vera e propria sfida non solo per l’Italia, ma per l’intera comunità scientifica internazionale. Nonostante i contrattempi dovuti alla pandemia da Covid-19, l’impegno inizialmente programmato è stato portato a termine con successo ed il bagaglio di conoscenze acquisito in questi anni rivestirà un’importanza fondamentale, in vista dei cambiamenti previsti per la fase di HL-LHC.
Atlas rivelatore, Contributo Italiano, Featured
Comments RSS Feed