A volte bisogna costruire degli strumenti enormi per poter andare a studiare il piccolo. È quello che si è proposto di fare ATLAS dal 2010 quando è entrato in funzione LHC: l’esperimento più grande del mondo per il più potente acceleratore di particelle mai costruito.
A fine 2018, LHC verrà spento e tenuto in standby fino a tutto il 2020 per poter effettuare gli aggiornamenti necessari al fine di raddoppiare la luminosità, il parametro con cui in fisica delle particelle si misura la quantità di collisioni prodotte e quindi la capacità di osservare fenomeni rari. A fronte di tale consistente aumento di luminosità ATLAS dovrà quindi a sua volta aggiornare i propri detector per poter mantenere le sue ottime prestazioni anche in presenza di maggiori flussi di particelle, attesi con l’incremento della luminosità.
Qui entrano in gioco le camere MicroMegas, all’interno del progetto di aggiornamento della New Small Wheel in ATLAS, che dovranno sostituire la camere MDT (Monitored Drift Tubes) e le camere CSC (Cathode Strip Chambers) nella prima stazione dello spettrometro per muoni (Figura 1).
La zona dove verrà montata la New Small Wheel è infatti la regione dello spettrometro per muoni più vicina al centro del rivelatore ed è la più esposta all’arrivo di tutte quelle particelle che sono prodotte a piccolo angolo rispetto ai fasci, come per esempio tutte quelle che non hanno preso parte all’interazione principale ma che hanno fatto da spettatori durante l’incrocio dei fasci ad LHC (il cosiddetto underlying event).
Le MicroMegas sono rivelatori inventati negli anni ’90, di geometria planare e composti (Figura 2) da una successione di strutture tutte planari: un piano in rame (catodo), a cui è applicata una tensione di -300 V, seguita da una regione di 5 mm riempita con una miscela di gas (Argon e Anidride Carbonica) chiamata regione di conversione; una mesh (rete) metallica, tessuta con un filo di 30 µm (0,03 mm) di diametro, connessa a massa che divide la regione di conversione con un’altra, più piccola, detta di amplificazione spessa 128 µm (0,128 mm); al termine della regione di amplificazione sono presenti due serie di strisce larghe 300 µm e spaziate tra loro circa 100 µm: la prima serie (detta delle strip resistive) è alimentata con ∼+600 V e riduce la possibilità che si possano formare scariche elettriche interne che potrebbero danneggiare il detector; la seconda serie (detta delle strip di lettura) è costituita da strisce in rame, ciascuna accoppiata induttivamente alla corrispondente strip resistiva, su cui viene letto il segnale.
Il muone, passa attraverso tutta la camera MicroMegas rilasciando una piccola porzione della propria energia nella regione di conversione creando circa 50 coppie elettrone/ione. Gli elettroni sentiranno il campo elettrico inizieranno a viaggiare attirati dalla mesh e, grazie alla configurazione del campo elettrico, passeranno attraverso i buchi di questa rete ed entreranno nella regione di amplificazione dove il campo elettrico raggiunge valori molto più elevati; questo campo elevatissimo accelera gli elettroni che andranno a collidere su ulteriori elettroni del gas liberandoli dai loro atomi di appartenenza e creando una vera e propria valanga. Questa grande quantità di carica (104 elettroni per ogni elettrone proveniente dalla regione di conversione) rappresenta l’indicazione del passaggio di una particella ed induce un segnale elettrico sulle strisce di rame che viene poi registrato dall’elettronica di lettura e arriva, dopo vari passaggi, ai nostri computer per l’analisi.
Con un rivelatore MicroMegas è possibile ricostruire la posizione dove la particella è passata con una precisione di un decimo di millimetro, e permette all’interno di ATLAS di raggiungere la conoscenza dell’impulso di una particella con una risoluzione del 15% all’energia di 1 TeV.
I rivelatori che saranno montati in ATLAS sono i più grandi mai costruiti con il principio di lavoro delle MicroMegas e sono caratterizzati da superfici tra i 2 e i 3 metri quadrati. Saranno realizzate 128 camere (per un totale di 325 metri quadrati), ognuna delle quali sarà composta da 4 regioni attive (ciascuna con una regione di conversione e una regione di amplificazione) per fornire 4 misure della posizione del passaggio della particella per poterne ricostruire al meglio la sua traccia.
La componente italiana della collaborazione ATLAS si è impegnata nella costruzione di un quarto del totale delle camere. La costruzione di questi rivelatori è tuttora in corso e coinvolge più di 60 persone tra fisici, tecnologi e tecnici delle sezioni dell’INFN di 7 gruppi italiani: Cosenza, Laboratori Nazionali di Frascati, Lecce, Napoli, Pavia, Roma1 e Roma3.
In particolare Roma1 si occupa della costruzione dei pannelli di drift (catodi in rame, Figura 3a), Roma3 si occupa dello stretching (tiraggio) della mesh metallica (Figura 3b), Pavia della costruzione dei piani di lettura (readout, Figura 3c) mentre il sito di Frascati, con l’aiuto dei fisici e tecnici di tutte le sezioni coinvolte, si occupa della finalizzazione, della costruzione, dell’assemblaggio finale (Figura 3d) e dello studio delle performance delle camere.
Mancano poco meno di due anni quando questi nuovi detector saranno pienamente operativi all’interno di ATLAS pronti per dare la caccia a tutti i muoni.
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